Onorevoli Colleghi! - Gli eventi riportati dalla cronaca degli ultimi anni hanno messo in luce il problema della tutela dei diritti fondamentali delle persone fermate a seguito delle manifestazioni organizzate in occasione di rilevanti vertici internazionali.
      La considerevole documentazione prodotta ha reso evidente all'opinione pubblica il rischio che nell'immediatezza di operazioni condotte per reprimere manifestazioni di violenza, le Forze di polizia impiegate eccedano nell'uso dei mezzi di contenzione fino a configurare reali abusi; non rispondano a una ben individuabile catena di comando, tale da rendere successivamente possibile l'individuazione di responsabilità; non garantiscano i diritti fondamentali delle persone fermate.
      Questa situazione, oltre a configurarsi come lesiva delle garanzie fondamentali tra cui la libertà di espressione e di dissenso, finisce con il rivelarsi particolarmente lesiva dell'immagine democratica stessa degli Stati chiamati a ospitare tali eventi e a fronteggiare possibili mobilitazioni di protesta.
      I fatti avvenuti negli ultimi anni, a partire da quelli ormai tristemente famosi di Napoli e di Genova del 2001, hanno evidenziato la necessità di restituire un ruolo di promozione dei diritti di cittadinanza alle Forze dell'ordine. È necessario ricomporre quella cesura provocata da eventi carichi di violenza e a tratti drammatici. Le Forze dell'ordine, tutte, sia quelle militari che quelle civili, hanno un ruolo fondamentale nella tutela dei diritti umani e nella prevenzione delle violenze, a garanzia della legalità interna e internazionale.
      Va ribadito che l'uso della forza deve essere sempre proporzionato e non deve mai trascendere in comportamenti consistenti

 

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in trattamenti crudeli, inumani o degradanti o addirittura in episodi di tortura.
      Esiste oggi un apparato di norme internazionali poste a protezione dei diritti fondamentali della persona. Esistono altresì norme a livello regionale europeo e a livello universale in materia di trattamento delle persone fermate, arrestate o detenute.
      Risalgono al 1979 le norme della risoluzione 34/169, adottata il 17 dicembre 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dirette all'istituzione di un codice etico di condotta per le Forze dell'ordine impegnate nel far rispettare la legge.
      Norme poi arricchite dalle «Guidelines for the Effective Implementation of the Code of Conduct for Law Enforcement Officials» del 1989 (risoluzione 1989/61) e dai «Basic Principles on the Use of Force and Firearms by Law Enforcement Officials» e relativo allegato (1990).
      Nella presente proposta di legge ne sono riprodotti i contenuti.
      Tali norme costituiscono un vero e proprio codice di condotta per gli appartenenti alle Forze dell'ordine. Poche norme, chiare, sui comportamenti ammessi e quelli vietati, sul fine che deve ispirare l'azione di polizia e sul ruolo importante che le Forze dell'ordine possono e devono svolgere a protezione dei diritti umani. Un ruolo che le obbliga esplicitamente a non violare mai quei diritti che loro stesse per mandato istituzionale devono proteggere. Il codice etico voluto dall'ONU è una sorta di «codice di Ippocrate» delle Forze dell'ordine, che con la presente proposta di legge si intende rendere operativo anche nel nostro Paese. Così come i giornalisti e i medici, anche coloro che hanno il compito di far rispettare la legge devono avere un proprio codice etico di condotta a cui ispirarsi.
      In tal modo gli organi di polizia verrebbero sempre più a configurarsi come garanti della sicurezza dei diritti dei cittadini e non, invece, come semplici tutori della sicurezza pubblica. In tal modo verrebbe recuperato un rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni.
      Nessun appartenente alle Forze dell'ordine deve sentirsi sopra la legge, è anzi necessario avere norme comuni e condivise a cui ispirarsi nel proprio lavoro di polizia.
 

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